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La formula per la vittoria: fisico design e tutela
Le attività sportive possono essere essenzialmente considerate come “forme modificate di comportamenti di caccia”. Dal punto di vista biologico, un calciatore moderno sembra essere parte di un gruppo di caccia “camuffato”: la sua arma è il pallone e la sua preda è la porta avversaria. Se la sua mira è accurata e colpisce la rete avversaria (occupazione del nucleo vitale territoriale) può assaporare il trionfo del cacciatore che uccide la preda.
L’evoluzione storica e biologica del comportamento e della società nella qua-
le l’uomo cacciatore si è trovato a misurare i propri istinti ha prodotto nuovi
modelli di comportamento che costituiscono le attività del gruppo di caccia.
E infatti già i greci, per soddisfare il bisogno umano di una uccisione sim-
bolica, ferma restando l’eccitazione dell’inseguimento, adottarono l’atletica,
sport da campo comprendente inseguimento, corsa su pista, salto e lancio
(disco e giavellotto).
In altre parti del mondo invece si affacciarono giochi che comportavano l’uso
del pallone (polo nell’antica Persia, bocce e hockey in Egitto, football nell’an-
tica Cina).
Dell’antica sequenza di caccia negli sport con la palla veniva conservata ed
amplificata l’importante azione di mirare.
Quindi, quali che fossero le regole, l’atto fisico di mirare, costituiva l’essenza
della operazione e, più di qualunque altro elemento, avrebbe finito per domi-
nare il mondo dello sport moderno (L’Uomo e i suoi gesti - l’osservazione del
comportamento umano di Desmond Morris - Arnoldo Mondadori Editore).
Per l’uomo contemporaneo il terreno di caccia è cambiato ma assistere e parte-
cipare alle attività sportive provoca comunque quel senso di eccitazione primor-
diale connesso alla natura delle azioni richieste dagli avvenimenti sportivi.
Di qui l’importanza e il peso del “sistema sportivo” in tutte le economie e
mercati.
Sport come “ricerca dell’eccellenza” e quindi, per chi si occupa di gestione
sportiva, come ricerca di regole e record per mantenere vivo l’interesse, di
standard per definire e ridefinire i limiti incoraggiando uomini e donne a con-
tinuare ad allenarsi.
Sport quindi come “superamento dei limiti” poiché questa è l’essenza di
qualsiasi disciplina sportiva e perché la tensione all’acquisizione di nuovi
record è la molla per catturare l’interesse collettivo.
Gli eventi olimpici sono la concretizzazione e la esemplificazione più alta di
questa tensione ed è sotto gli occhi di tutti come ogni dettaglio di tutto ciò
che è funzionale al raggiungimento di qualsiasi prestazione sia oggetto di ac-
curata e precisa progettazione, non solo il fisico dell’atleta ma anche l’attrez-
zatura utilizzata, l’abbigliamento, il terreno di gioco, le strutture ambientali,
i regolamenti di gara, le modalità di trasmissione e fruizione della gara da
parte degli spettatori di tutto il mondo.
Il risultato sportivo dell’atleta moderno è la sommatoria di sforzi progettuali
c he partendo dal fisico e dalla fisicità dello stesso mira da un lato alla ampli-
ficazione delle sue capacità e dall’altro alla sua sicurezza.
Se lo scopo è il raggiungimento di prestazioni tali da superare record già
raggiunti, l’atto progettuale sotteso è evidentemente composito e prevede
un lavoro di team integrato che coinvolge specialità, figure e campi di attività
molto diversi tra loro.
Ciò che lo spettatore vede e percepisce è un attrezzo, un dispositivo, un capo
di abbigliamento frutti di ricerche, sperimentazioni, soluzioni tecniche inte-
grate, sui quali convergono interessi sportivi e commerciali evidenti a tutti
e che, insieme all’atleta, diventano il presupposto indispensabile per il rag-
giungimento dell’obbiettivo.
Dalle biciclette ai costumi da bagno, alle scarpe da corsa, alle racchette da
tennis, ai tappeti per il salto, ai caschi protettivi, è palese l’interesse di mas-
simizzare il risultato dello sforzo progettuale effettuato, di utilizzare lo stesso
in regime di esclusiva (massimo della competitività), impedendo o ritardando
a terzi il beneficio dello stesso vantaggio, e trasformando un prodotto innova-
tivo in un prodotto di innovazione “qualificata”, cioè monopolistico.
In pochi altri ambiti come nello sport c’è una relazione così fitta e inestricabile
tra i diversi elementi che compongono il sistema: lo strumento, l’attrezzatura,
l’atleta, lo spazio dell’azione, le regole e i codici di gara. Tutti concorrono,
ancorché in misura diversa, al raggiungimento della prestazione, ossia del ri-
sultato finale. E, come in tutti i sistemi complessi, ne deriva che le innovazioni
introdotte in uno degli elementi finiscono per indurre cambiamenti nell’intero
sistema. Ma l’introduzione di materiali, forme nuove, che hanno come risul-
tato finale un prodotto concreto ben definibile e caratterizzato (un attrezzo, un
capo di abbigliamento, una calzatura, uno strumento protettivo) rappresenta
A nalogamente, e proprio alla luce di quella compenetrazione sempre più for-
te tra risultati tecnologici (interni) e apparenza del prodotto finale (esterno) le
aziende ricercano la protezione delle forme caratteristiche, ossia del design,
per quel valore aggiunto che tale design apporta al prodotto considerato in sé e
per sé. Un design originale, creativo, individuale è infatti in grado di svolgere la
funzione di far comprendere, di far “vedere” non solo al consumatore informato,
ma anche a quello meno esperto, che il prodotto che ha tra le mani è il risultato
di una tecnologia sofisticata (che, nella maggior parte delle volte, è difficilmen-
te apprezzabile se non del tutto nascosta: pensiamo per esempio ai materiali
usati per le suole delle scarpe da corsa o negli sci o a un pattino da ghiaccio che
consente al piede di piegarsi secondo il movimento deambulatorio).
Ed è anche per questo effetto di riconoscimento, che dietro la creazione di ogni
design di successo del sistema sport ci sono aziende che hanno adottato ormai
da tempo codici di comportamento e processi di produzione e identificazione ri-
conoscibili nel mercato internazionale. Ciò perché tali aziende sono consapevoli
che la valorizzazione dell’innovazione attraverso lo strumento del design con-
sente di essere citati non solo su riviste o pubblicità ma anche nella letteratura
di settore, induce a sviluppare una cultura aziendale particolarmente sensibile
alla riconoscibilità di idee, alla loro sostenibilità, sperimentazione, alla ricerca
di finanziamenti, di prototipizzazione, al marketing e alla comunicazione: insom-
ma il design, nella sua migliore e più fortunata realizzazione può anche eserci-
tare la funzione di traino dell’innovazione che si traduce poi in nuove creazioni.
Si può quindi sostenere che, soprattutto in ambito sportivo, il design costi-
tuisce l’aspetto estetico della tecnologia ad essa sottostante, un modo per
ingentilire il profilo di funzionalità che concorre all’utilizzo dello stesso, un
modo per garantire l’integrazione e l’interazione con la fisicità dell’atleta e
per tendere alla migliore prestazione e insieme gradevolezza.
Dall’uso intensivo del design per rispondere al fisiologico desiderio di gra-
devolezza formale che orienta le scelte dei consumatori, ciò che al momento
resta escluso è proprio il fisico dell’atleta!
Ci sembra però di potere intravvedere un’eccezione nel mondo dello sport: le
scuole di allenamento spesso sono laboratori così specializzati, collaudati e
mirati da forgiare atleti la cui fisicità è talmente tipologica e considerabile il
risultato di un atto creativo di... design industriale.
Nonostante la letteratura più evoluta abbia ormai introdotto il concetto di “body
design”, settore globale e contemporaneo per il quale si stanno ridefinendo i
canoni della bellezza, mischiando caratteri artificiali e multietnici, la normativa
brevettuale continua ad annoverare i metodi chirurgici tra le eccezioni alla bre-
vettazione, non solo per quanto attiene il regime delle invenzioni, ma in modo
traslato, anche in quello del design, pertanto è nella biochimica che si possono
eventualmente nascondere dei mezzi per modellare fisici umani!