Roma 16 marzo 2011
Certo, dopo avere ascoltato le dichiarazioni autorevoli da parte del Dir. Generale anticontraffazione nonché UIBM avv Gulino impersonata dal dr. Scarponi, e quelle dell’avvocato Mainini a presidenza del CNAC … ci sentiamo positivi, mai soddisfatti ma positivi.
Le loro funzioni nella duplicità coordinata dell’incarico sono una figura quasi unica nello scenario internazionale e assai avanzata rispetto agli altri che stanno ora iniziando animatamente a discutere se non dotare della medesima duplice competenza l’ufficio Comunitario di Alicante piuttosto che i vari uffici marchi nazionali.
Comunque sia per gli altri, per noi già di per sé questa figura è evidenza della serietà con la quale lo Stato guarda al fenomeno, e alla potenzialità del ruolo tenendo anche conto che un altro italiano, Giovanni Kessler, già Alto Commissario per la lotta alla contraffazione per l’Italia è stato di recente nominato direttore generale dell’OLAF ufficio antifrode della UE.
Ancora sul piano internazionale, sta per aprirsi il biennio (scadenza 31 3 2013) per la procedura di firma dell’ACTA AntiCounterfeiting Trade Agreement corrente tra UE, Australia, Canada, Sudcorea, Giappone, Marocco, Messico, Nuova Zelanda, Svizzera, Singapore, USA, singolare mix di paesi non omogenei e che si spiega con la destinazione fondamentale al potenziamento dell’enforcement più che ad una armonizzazione d’altro, peraltro limitato a copyright e marchi.
Come si pongono i brand rispetto alla contraffazione
Secondo me “di lusso” significa “necessari” non in quanto utili ma necessari per il piacere, che si acquistano per la necessità del piacere, perché il piacere è una esigenza.
Verso questi prodotti c’è un atteggiamento felice rilassato pronto a quel minimo quid in più che libera l’accoglimento della offerta, il quid essendo l’illusione dell’originale.
E l’emozione è sempre vera, sia che si tratti dell’originale che del falso, sicchè il marchio si va a collocare tra merce ed emozione e allora la equazione diventa che rispetto al piacere :
(1falso = 1originale) ovvero che
( falso : piacere = originale : piacere)
D’altro canto, se cosi non fosse l’appetito verso le riproduzioni sarebbe insufficiente a finanziare il mercato del falso.
Da questi prodotti non ci si aspettano precise prestazionalità o tecnicità “specifiche tecniche” ovvero non ci aspettiamo misurabili e controllabili prestazioni e funzioni di risultato, com’è per prodotti “utili”.
Parlare di contraffazione del lusso significa parlare di internazionalità e di costosità, d’altro canto vedete voi :
Da dove ci arrivano questi marchi di lusso ?
Flagshop, negozi misti, strutture ad hoc, canali o servizi di “distribuzioni” piuttosto che direttamente dal produttore, ma in buona parte essi sono già “importati” nei nostri desideri e sensi da costose immagini e pubblicità e comunicazioni, soprattutto durevoli riviste e giornali (durevoli nel senso che la loro durata dipende dall’utente anziché dall’emittente e che fintantoché non vengono gettati continuano a produrre effetto).
Questo è tanto più vero per articoli che sono brandizzati nel design insomma nell’aspetto (che dunque necessitano della stampa per la visione).
E’ internazionale e costoso il reticolato di registrazioni del brand da finanziare e realizzare, nei paesi di commercializzazione, e nei paesi di ri-produzione dove non si commercializza granchè o nulla ma dove sono attive industrie del falso, e nei i paesi c.d. di transito cioè dove ci si aspetta che vengano fatti transitare i falsi e dove si spera di poterli bloccare prima che vengano frazionati e spediti verso più numerose giurisdizioni.
Il tutto, moltiplicato per le classi merceologiche nelle quali è usato il brand, che nel migliore dei casi producono incrementi dei costi mentre in un gran numero di paesi producono moltiplicazioni di costi al 100%.
Sono internazionali impegni e costi per le qualità dei depositi protettivi, ad evitare vizi tecnogiuridici che verrebbero presto scoperti dai consulenti dei contraffattori e quindi favorirebbero le copiature.
E’ internazionale e costoso l’onere di associarsi con dei colleghi in loco, ai quali affidare e pagare un servizio permanente di gestione di comunicazione con gli investigatori, a loro volta da trovare organizzare e pagare, e con le autorità che hanno bisogno di un referente locale in rappresentanza del brander, e con la polizia che va educata al marchio e ai connessi prodotti, spesso con corsi di formazione ad hoc, cataloghi e fotografie alla mano, …
E i costi per avere ogni giorno la disponibilità dei tecnici di fabbrica capaci di esaminare un prodotto a distanza sulla base di reperti fotografici trasmessi in digitale dalle polizie locali e rispondere se si tratta di falsi.
E’ i costi per pagare e mantenere iscrizioni dei brand ai diversi registri doganali (e tralasciamo le attestazioni di validazione dei titoli … Cina)
E’ internazionale e costoso mantenere il brand in purezza e salvarlo dalle erosioni con costose sorveglianze che producono costose opposizioni attive e passive.
E poi i problemi / costi connessi con la mancata utilizzazione del marchio in alcuni dei territori dove il brand è registrato ?
Una costosa caratteristica ulteriore : un brand di lusso è uno e quello soltanto, perché è l’oggetto psicologico dell’acquisto, sicchè costi quello che costi deve essere registrato telle quelle per poi essere commercializzato telle quelle, tanto più perché sovente è un nome, una “firma” come si dice, è tassativamente identitario.
Ecco tracciato un sintetico sketch della costosità dei marchi di lusso, scaricata sui branderz
Veniamo alla cognizione :
abbiamo dei test che il tema ha raggiunto una apprezzabile base comunicativa, che il tema è socialmente sensibilizzato
E’ ormai pacifico a tutti che l’acquisto consapevole di articoli non originali è fenomeno di consumismo patologico, sicchè la education ne è primario strumento di resistenza e chissà che non si riesca a evitare messaggi come “basta alle rinunzie” o “lusso senza limiti”
Mentre, la vera e propria frode inconsapevole necessariamente si rivolge a prodotti caratterizzati da un indice di più difficile riconoscibilità sicchè non è la stessa education che può evitarli bensi la correttezza del sistema addetto e la efficacia dei suoi controlli e questo ci porta a un pensiero di ringraziamento per le polizie e le magistrature di tutto il mondo.
Però possiamo fare di più, e forse con meno, continuando a dire chiaramente che le istituzioni non tollerano il fenomeno e dimostrandolo adottando metodologie antagoniste proporzionate ed economicamente plausibili.
Utilizzare la televisione per mostrare il fenomeno e i suoi effetti, non soltanto attraverso ripetuti spot di immagini di pochi secondi ma con commentari inseriti nelle trasmissioni
ad alto indice di ascolto, che consentano di esorcizzare l’argomento e di socializzarlo.
In merito già eravamo in trattativa con RAI …
Sanzioni pecuniarie distribuibili da ogni polizia e non processi che nei tempi e costi puniscono una seconda volta lo Stato e le imprese già vittime del danno da copia.
Portiamo il lamento esausto delle imprese per mezzi repressivi giudiziali classici che non rientrano nel discorso delle compatibilità e sostenibilità, tanto più dovendosi rammentare che diversamente da molti altri paesi noi italiani abbiamo sì molti marchi mondiali ma anche molta produzione interna di contraffatti, condizione che ci mette in singolare sofferenza.
Anche la velocità della repressione può darcela soltanto l’amministrativo non il giudiziale, intendo la velocità del blocco rispetto alla offerta, chè più tardi si intercettano i falsi e più saranno stati distribuiti sicchè si dovranno coprire territori sempre più vasti a carico di sempre più numerosi soggetti per quantità di falsi unitariamente decrescenti e si arriva cosi al break even della repressione economica.
avv Domenico De Simone © 2011
vicepresidente INDICAM
vicepresidente ECTA